In lotta contro l'anoressia

Questo blog nasce per far conoscere i disturbi del comportamento alimentare. Per spiegare al mondo che non si tratta di un semplice "capriccio", ma di una vera e propria malattia. Per questo voglio raccontare la mia storia, e spero che molte altre ragazze faranno lo stesso per aiutare la nostra società a non nascondere più una malattia così.

Le nostre storie

Giulia

Come tutte non mi sono accorta di essere entrata in un disturbo alimentare in quel momento, volevo soltanto perdere un po' di peso.. Così ho iniziato a concentrare i miei pasti su verdure, essenzialmente crude e uno yogurt, quando me lo ero meritato ovviamente. In quel momento stavo bene, mi sentivo un vero Dio in realtà, perchè dimagrivo, ma non mi sentivo male , anzi avrei potuto spaccare il mondo.

Fino al giorno del mio compleanno quanto, tornata a Firenze da Milano per un fine settimana mi spogliai davanti a mia madre. Io non sapevo cosa stavo facendo e lei se ne accorse in quel momento. Nonostante questo per mesi ho continuato a non mangiare e ad avere un BMI molto basso, continuando a dire che io "stavo bene". 

Apparsero così la figura della psicologa e della nutrizionista, che io ovviamente non ascoltavo mai, anzi quello che mi diceva la nutrizionista era un punto di partenza per ridurre ancora di più. 

Solo dopo un anno ho chiesto aiuto, con l'aiuto della mia famiglia che non mi ha mai abbandonata, tutt'ora sono in cura da persone veramente d'oro.

La malattia mi ha portato a perdere molte persone care, molte amicizie , addirittura quello che pensavo fosse l'amore della mia vita. L'anoressia ti trasforma, ti vuole tutta per sè, ti fa rimanere sola, e soltanto quando cacci via tutti ti accorgi di chi ti ama davvero e nonostante tutto ti rimane accanto. 

Camilla

L'incubo è iniziato in terza media, quando a seguito dello sviluppo il mio corpo ha iniziato a cambiare... mi vedevo "troppa", quando chiunque mi definiva perfetta.Iniziai così a diminuire ciò che mangiavo, a contare le calorie e ad isolarmi dal resto dei miei coetanei.Per un anno rimasi in una sorta di limbo, non salivo e non scendevo, ma mi sentivo in costante disagio e la bilancia era la mia migliore amica...bastavano due etti in più per rovinarmi l'intera giornata.Il dramma arrivò in seconda superiore. A Gennaio andai per la prima volta da una dietista, ma le grammature che mi impose servirono solo a mandarmi nel panico...fu da quel momento che persi completamente il controllo.Ricordo di essere stata io stessa a chiedere aiuto...non riuscivo più a stare seduta dal male che le ossa mi procuravamo, salire le scale era diventata un'impresa e sorridere era impensabile.Così fui ricoverata in Dh a Villa Ulivella...Conobbi moltissime ragazze, persone fantastiche che come me stavano vivendo il momento peggiore della propria vita.Mi aiutò molto, ma non fu abbastanza...infatti a seguito di una ricaduta fui costretta a tenere per un mese e mezzo il sondino.Sono stata dimessa definitivamente l'aprile del 2018.Tutt'ora sono seguita dal territorio, non sono guarita, mi vedo ancora male, ma non ho intenzione nemmeno di tornare indietro.Ho 19 anni, mi rifiuto di passare altro tempo in ospedale .

Anonimo

Buio...

Ecco come descriverei questo inferno che ormai mi appartiene da più di tre anni...

Esso ha un nome ed un cognome

ANORESSIA NERVOSA...

Quando mi sono state dette tali parole dai miei medici, non ci credevo, non era possibile, non a me, io stavo benissimo, io avevo tutto sotto controllo erano loro a sbagliarsi...

Quando è iniziato tutto ero inconsapevole di quello che stava succedendo, era partita con l'idea di fare una semplice dieta per perdere quei chili in più che tanto odiavo e non riuscivo a vedere. Quando ho iniziato a perdere peso mi sono sentita incredibilmente forte e finalmente ho sentito di avere il controllo su qualcosa.

Mia mamma poco dopo si rese conto che c'era qualcosa che non andava e decise di portarmi un un centro specializzato per disturbi alimentari.

All'inizio del mio percorso io non ero per niente collaborotiva , perché volevo salente seguire la mia misera dieta ed ammazzarmi di esercizio fisico perché avevo ben in mentre ciò che volevo raggiungere...

La famigerata PERFEZIONE.

Peccato che solo ora mi rendo conto che essa non potrà mai essere raggiunta perché in questo disturbo anche quando riesci a raggiungere quel peso x o a mangiare solo quei grammi x a quel punto vorrai scendere ancora di più perché non basterà mai...

Poiché il percorso non stava dando i suoi frutti ma anzi stavo sempre di più perdendo peso e ormai avevo un BMI molto basso, i medici decisero di ricoverarmi.

È stato un ricovero assai duro che è durato in tutto 6 mesi.

Mi ha totalmente cambiato, mi ha fatto acquisire consapevolezza e conoscenza di questo disturbo, ho compreso di avere un problema è di dover lottare per poterne uscire.

Mi ha aiutato a comprendere che il cibo non è un nemico ma che in realtà è una medicina e piano piano ho scoperto che può essere anche piacere e compagnia.

Purtroppo il ricovero seppur mi abbia aiutato molto non ha risolto totalmente il problema e un anno dopo ho riavuto una ricaduta senza che me ne rendessi molto conto...

Ora però che mi sto affidando a delle nuove figure sto ricominciando a lottare per riconquistare la normalità e la libertà.

Il cammino sarà lungo, difficile e pieno di ostacoli però so per certo che indietro non voglio tornare e che alla fine ne varrà sicuramente la pena

Eleonora

ho abbracciato con vigore la mia malattia..per sentirmi parte di qualcosa.Nella mia primissima età scolare,parlo delle elementari,non avevo difficoltà a socializzare.Ero circondata da amichetti.Chi sincero.chi meno.Mi sentivo amata.Alle medie è cambiato tutto.Non mi hanno accettato,da subito.Esclusione, derisione,isolamento..malattia.Sebbene fossi stata da sempre una bambina sovrappeso, è alle medie che sono cominciati i miei problemi col cibo.Mi dicevano che ero grassa,e io smisi di mangiare.I miei genitori non mi sono stati vicino,non mi hanno visto.Anche loro mi hanno isolato.Avevo solo il cibo.Come dimagrivo,ingrassavo.Alle superiori il dramma si è ripetuto.Esclusione, derisione,isolamento..malattia.Desideravo disperatamente fare parte di un gruppo,far parte del loro mondo.Cercavo me fuori da me.Negli altri.Loro non mi accettavano.Io non mi accettavo.Ma non mi vedevano,neanche malata.Eppure mi sono attaccata alla malattia come la pelle si attacca al corpo.

La malattia era la mia pelle, mi proteggeva, ma sì mi escludeva ancora di più. Finchè non ho finito per crearmi un mio mondo, con le mie regole, di cui solo io rispondevo, dove io desideravo ed ero desiderata.

La realtà... fuori.

La società... fuori.

Loro mi avevano rifiutata.

E io le rigettavo. Il mio terapeuta è stato l'unico che è riuscito a entrare in questo mondo, ha parlato il mio linguaggio e mi ha vista. E poco alla volta ho provato a ricostruire i pezzi frantumati della mia persona a formare un identita che il mio trauma precoce non aveva permesso di trasformarsi. E ancora ora provo...a trovare il mio posto nel mondo. A essere altro oltre al sottopeso (volevo morire tra le braccia di mia mamma). A essere altro oltre il sovrappeso ad essere altro oltre al cibo.
Non nascondendo il mio dolore.
Ma facendone la mia forza fragile.

JULIA

Partì tutto, o quasi, da qui...
Tra il 2015 e il 2016 decisi che volevo perdere qualche chilo perché mi trovavo grassa, non mi piacevo ( in realtà non mi sono praticamente mai piaciuta, non avevo mai fatto sport in tutta la mia vita, mangiavo sregolato ed ero molto sedentaria ! Ero un pò in carne ma niente di esagerato) e quindi decisi di mettermi a dieta (fai da te) e a voler andare in palestra (principalmente per sfogarmi dalla stress)...
Inizialmente sembrava un comportamento normale , andavo in palestra 1 0 2 volte a settimana , avevo ridotto le dosi nel magiare e avevo rinunciato a qualche sfizioso ma in realtà dentro di me stava scoppiando il caos!

1. Lo specchio divenne il mio peggior nemico ! Vedo riflessa un immagine che non mi piaceva, che trovavo deforme, orrenda, flaccida e mi vedevo obesa!
2. L'app contacalorie diventò il mio miglior alleato ( o così credevo ) e mano a mano inziai ad aver paura a raggiungere il "mio fabbisogno" giornaliero (fabbisogno che andava da 900 a 1200 ) e cercavo di bruciarle tutte!
3. Le vocine , e già inziarono e mi facevano venire i sensi di colpa per il biscottino in più e quindi... vai e ammazzati di palestra, vai e mangia meno , vai in bagno che problema c'è a vomitare ...

Iniziarono le bugie, le scuse, e...Sbam!!! 47 kg appena , un sacco di problemi di salute , tanta stanchezza, tanto nervoso e ...
E fu l'inizio di un ciclo vizioso, fu l'inizio della malattia e non fu così semplice riconoscerla e affrontarla!

LINDA 

20 anni.

Come voi ho sofferto o meglio dire soffro di un disturbo alimentare chiamato anoressia. Il mio incubo si è fatto strada dentro di me sin da quando ero molto piccola, già alle medie iniziai ad avere dei problemi col cibo scaturiti da qualche parola di troppo che mi fu detta dalla nonna di un'amica. Sono sempre stata una bimba magra e ho sempre mangiato tutto ciò che la mia gola diceva senza stare attenta a cosa mettessi in bocca ma quelle parole, che momentaneamente non mi fecero effetto, iniziarono a suonarmi nella testa e da li la prima caduta seguita da una rialzata assai rapida. Ero piccola all'epoca, non ero stata ben consapevole di cosa mi fosse accaduto e di come mi fossi ritrovata in quella situazione per cui mi affidai. Fui mandata da un dottore che in circa un annetto mi fece riprendere la massa perduta. La situazione è rimasta stabile fino all'estate del 2015 durante la quale mi trovai nuovamente a ridurre le mie porzioni di cibo e ad eliminare alcuni alimenti. A settembre , vista la perdita di peso,mia madre mi portò dal dottore che mi aveva precedentemente seguita ma fui affidata ad un'altra specialista. L'inverno dello stesso anno andai in vacanza a Barcellona con i miei e li toccai il fondo; ricordo solo il freddo patito e il dolore alle ossa subito. A gennaio del 2016 fui indirizzata verso una dietista e una neuropsichiatra; la prima mi buttò ancora di più nel baratro e in breve tempo degenerai. L'8 aprile 2016 entrai per la prima volta a Villa Ulivella, reparto di neuropsichiatria infantile del Meyer, e il 15 fui ricoverata adottando un piano di day hospital intensivo. Da un momento all'altro mi fu tolta la scuola e la danza per la quale ero patita e che non avevo lasciato nonostante i richiami. Sono rimasta in quel reparto per 2 mesi dopodiché la nuova estate. Quei tre mesi furono particolari ma belli, tornare a respirare dopo esser stata tanto chiusa mi dava un senso di libertà. Ho continuato il percorso al di fuori della clinica fino a che la scorsa estate ho riperso il controllo. Adesso mi sono trasferita, studio ed ho la vita che da sempre pensavo mi potesse far felice ma dentro di me c'è ancora qualcosa che non va e che mi porta a rifugiarmi nel cibo. Sono seguita da una psicoterapeuta e da una dietista che mi hanno messa davanti ad una scelta: o cambio o sarò costretta ad un nuovo ricovero. Ce la sto mettendo tutta ma non è facile, non è semplice sfidarsi continuamente,porsi davanti nuovi obiettivi, dover saltare ostacoli diversi... Ora grazie agli psicofarmaci e ad un giusto dosaggio di quest'ultimi ho un umore un po' meno altalenante, in ogni caso sono continuamente tesa, pensierosa e cupa.  

ANONIMO

Vi sono mai state poste domande che vi hanno lasciato il segno?Domande a cui non avete saputo rispondere?Quelle domande che ti lasciano la bocca asciutta e la testa infuocata da mille pensieri?

A me si.

Entrambe poste dalla medesima persona:

1. "ma te vuoi morire? Ovvero, perché continuare a vivere?"

2. "Chi è ...?"

Alla prima, ho trovato risposta, ma ci arriverò più tardi, alla seconda non ancora, ma ci sto lavorando. Mi limiterò pertanto a presentarmi con caratteristiche oggettive: ho 27 anni, sono del segno del leone e sono una receptionist con grandi ambizioni. Sono nata l'11 agosto 1993, in un caldo giorno d'estate, con parto cesareo e un fratello che mi chiamava "Lilla". Sono sempre stata una bambina socievole, ridevo a tutti e mi piaceva fare smorfie, specialmente quando mi scattavano foto (incredibile come cambiano le cose nel corso della vita).

Sono cresciuta in un ambiente familiare carico di amore e accogliente. Sono sempre stata una bambina un po' paffutella, con l'apparecchio ai denti. Le prese in giro da parte dei compagni di classe quando era il mio turno di "lettura ad alta voce" erano inevitabili.

Durante le scuole medie le offese si sono trasformate in "sei grassa" o "guarda quella cicciona" e altri appellativi simili. Il mio cuore si spezzò per la prima volta quando il ragazzo di terza media che mi piaceva tanto, seppe del mio interesse nei suoi confronti e di tutta risposta annunciò "ma chi? io? Con quella cicciona?"

La bambina socievole che si metteva in posa per le foto, lasciò il posto ad una ragazzina che desiderava solamente essere invisibile. Probabilmente fu in quegli anni che iniziai a trovare nel cibo una sorta di sfogo. Ricordo ancora i pomeriggi passati sulle scale del supermercato con le amiche a trangugiare snack di ogni sorta.

Inadeguatezza, insicurezza si impossessarono di me.

Specialmente perché quella che ritenevo essere la mia migliore amica (amicizia durata anni) invece di valorizzarmi, accentuava tutti i suoi aspetti positivi facendo intendere che io non ero mai alla sua altezza. Le superiori furono forse gli anni più difficili, con il "bello della classe" che mi dedicava canzoni in rima piene di offese sul mio aspetto fisico. Più rimanevo in casa a studiare e più le schifezze che mangiavo si moltiplicavano.

Conobbi poi il "primo amore" della mia vita che mi ha accompagnato per 6 anni. La nostra relazione è stata piena di alti e bassi, di cose belle e meno. Mentirei se dicessi che questa esperienza è stata fallimentare, perché mi ha lasciato anche molte cose positive e bei ricordi.

Anche lui era di buona forchetta, le sue preferenze ricadevano su quello che viene definito "junk food": fast food, intere vaschette di gelato, bevande gassate, ecc. Arrivai a pesare 98kg.

Mi piacevo? No. Ma piacevo a lui... e allora, che importava del mio pensiero?

Mi ero allontanata da tutti i miei amici, portata a questa scelta poiché lui iniziò ad essere geloso perfino delle cene di lavoro con le colleghe cinquantenni e per non creare litigi inutili, decisi che io e lui ci saremmo bastati. In fondo, lui era stato l'unico nella vita ad avermi apprezzato, ad avermi accolto per come ero, che mi amava semplicemente perché ero io. Non avrei permesso che si distaccasse da me.

Un giorno, mio fratello volle parlarmi a quattrocchi. Mi pose davanti tutti i rischi a cui stavo andando incontro con la mia alimentazione non salutare e alle malattie che sarebbero conseguite se fossi ancora aumentata di peso.

Ricordo ancora i suoi occhi commossi quando mi sussurrò "sarai sempre bella ai miei occhi, ma ne va di te, sto solo cercando di aiutarti".

Quella fu la prima scossa.

Iniziai un percorso travagliato tra nutrizionisti "ruba soldi" e dietisti.

Ero molto altalenante, prima perdevo peso, poi lo riprendevo, poi di nuovo calavo ma poi " si dai, oggi andiamo al Mc Donald" o "oggi me la merito una intera vaschetta di gelato dopo cena, è stata una giornata difficile".

Il mio ragazzo ebbe problemi al fegato per la nostra malnutrizione, quindi lo implorai di aiutarci a vicenda e seguire un regime alimentare più sano, insieme.

Io ci riuscii, nonostante le costanti tentazioni, lui no.

Ottenni risultati, perdevo finalmente peso costantemente, mi sentivo meglio e cercai di essere più bella agli occhi della persona che amavo, ricevendo però reazioni come "tanto sei grassa lo stesso" o "perché quelle mutande di pizzo?". Forse erano semplici battute, ma quanto possono essere impattanti per una che non si è mai sentita sicura di sé? La mia autostima precipitò.

Ma io stavo facendo la cosa giusta.

Mi accorsi così che il compagno che avevo scelto per la vita, forse non era quello giusto. Ma prima di razionalizzare questo pensiero, passai un periodo di sofferenza e depressione: mi sedevo a tavola con un blocco allo stomaco, nausea e non riuscivo a mangiare.

Con estrema difficoltà trovai la forza di porre fine alla relazione. Ecco che, come prima mi era successo nella vita, trovai nel cibo un rifugio. Stavolta però in maniera completamente opposta.

Quello che avevo davanti non era più un piatto pieno di pietanze, bensì un ammasso di calorie.

Accettavo di mangiare solo cose confezionate in modo che avessi ben chiare le calorie, per poterle inserire nell'applicazione che avevo scaricato, in questo modo avrei dovuto e potuto smaltirle tutte.

Negai cose "fatte a mano" o non quantificabili, tolsi il pane, i carboidrati assolutamente integrali e in maniera ridotta (così mi era stato insegnato dalle precedenti diete dimagranti), il pesce era "azzurro", la carne "bianca", no legumi (perché proteici ma contenenti carboidrati), no dolci, no biscotti, nessun tipo di cosa zuccherata.

Non mi importava del gusto, non avevo più il desiderio di mangiare. Le ore in palestra aumentarono, mi allenavo a casa di nascosto, facevo lunghe camminate. Arrivò un altro bel colpo, i miei datori di lavoro, dopo vessazioni psicologiche che mi scatenarono una violenta gastrite e un conseguente ricovero all'ospedale, mi portarono a dare le dimissioni da quello che pensavo poter essere il lavoro della mia vita.

In poco tempo, tutte le certezze della mia vita si sgretolarono e frastornata, feci l'unica cosa che sapevo fare: ossessionarmi sul cibo. Il controllo divenne maniacale.

Il momento del pasto mi creava ansia, rabbia e nausea. Ma ci fu anche un lasso di tempo tra la rottura della mia relazione e la perdita del lavoro, in cui, mi cimentai a scoprire un mondo fino ad allora a me sconosciuto fatto di divertimento, nuove esperienze, uscite con amici, serate in discoteca. Tutto quello che poteva essere fatto, desideravo diventasse un'esperienza. Sentivo di aver perso così tanto della mia adolescenza, volevo solo recuperare un po' di ciò di cui mi ero privata.

Fu il periodo più bello, ero inebriata dalla vita.

Non so bene come poi, sfociai in quella che poi scoprii essere una malattia. La seconda scossa provenne sempre da mio fratello: si accorse che c'era qualcosa che non andava e mi consigliò di andare da uno psicologo "dopo i traumi subiti, forse ti farebbe bene parlare con qualcuno".

Ero arrabbiata? No, ero furiosa! I matti vanno dallo strizzacervelli, io non ne avevo bisogno, io stavo bene. (Invece ci aveva visto lungo lui). Presi appuntamento con una psicologa, solo per accontentarlo. La prima seduta si aprì così "sono qui per volere di qualcun altro, io sto bene".

Non stavo bene, proprio per niente. Il ciclo mestruale si era interrotto ormai da qualche mese, lo stomaco mi si contraeva di dolore e non riuscivo a capirne il motivo.

Affrontai esami atroci come colonoscopia e gastroscopia, senza risposte. La ginecologa mi spedì da un endocrinologo e mi sottopose a terapie ormonali. I miei ormoni erano completamente sballati, anzi assenti (i valori erano pari a zero). Avevo sempre freddo, non sudavo più, non avevo alcun istinto a livello sessuale, ero spenta e apatica.

A settembre 2017, mi venne consigliato l'appoggio di una dietista. Mi assalì l'ansia, non avevo voglia che qualcuno mi imponesse cosa mangiare. L'agitazione si impossessò di me all'interno di quell'ascensore che mi portò al secondo piano di uno studio apparentemente "idilliaco".

Salii su quella stramaledetta bilancia: 55kg. Non ero gravemente sottopeso, ma il mio comportamento alimentare andava corretto.

Mi fu assegnata la prima dieta non dimagrante della mia vita. Assurdo. Sapevo bene cosa fosse "giusto" e cosa "sbagliato", da tutte le varie diete seguite. Chiesi che fosse adattata secondo le mie preferenze alimentari, ovvero cibi integrali, carne bianca, pesce azzurro (ecc ecc): mi fu accordato. Ovviamente, spaventata dalle grammature imposte, le ore di attività fisica aumentarono, addirittura la mattina mi svegliavo molto prima della sveglia, lasciavo la macchina alla fermata della tramvia più vicina a casa e poi facevo almeno 5 fermate a piedi e così anche al ritorno. Avevo smania di stare sempre in movimento, sempre in piedi.

A maggio 2018, durante un viaggio in Slovenia, in seguito ad una caduta per una scalinata in pietra, mi ruppi una vertebra. Dopo 12h ore trascorse in ospedale tra rx, tac e accertamenti vari, il neurologo mi disse "sei stata fortunata, qualche centimetro più su e ti saresti giocata l'uso delle gambe. Se tu non fossi stata così magra, probabilmente adesso avresti solo un livido".

Referto: un mese e mezzo allettata.

Non mi importava della mia condizione fisica, il mio solo pensiero era che se fossi rimasta a letto tutto quel tempo, sotto lo stretto controllo alimentare di mia mamma, sarei aumentata di peso spropositatamente e non potevo permetterlo. Diventai abile nel "fregare" la bilancina quando pesavo la pasta (nella quale mi assicuravo di mettere più  verdure, così non si riusciva a vedere il quantitativo nel piatto), nel nascondere il pane nel tovagliolo, nel trasbordare il cibo dalla mia pentolina a quella dell'intera famiglia quando nessuno mi vedeva e mille altre tattiche.

Le notti passavano insonni, in pieno panico passavo il tempo a escogitare strategie per cercare di mangiare meno, sugli alimenti che dovevo evitare o sostituire.

Meno incorporavo, più mi vedevo grassa.

Una mattina, mi svegliai con il ventre gonfio con dolori lancinanti. Passai una intera giornata all'ospedale buttata su un lettino. A mezzanotte mi fu detto semplicemente che il mio addome era pieno di liquidi, probabilmente dovuti alla malnutrizione.

Tornai dalla dietista: ero 48kg.

Non solo non avevo preso peso, ma ero vorticosamente dimagrita.

Indovinate? Ero felice, mentre negli occhi degli altri c'era preoccupazione. La psicologa mi abbandonò, capendo che il mio "caso" andava affidato a qualcuno con le giuste competenze, così mi consigliò una psicologa specializzata in disturbi alimentari. Pensai di averla delusa, insieme avevamo fatto un bel percorso basato sulla "gestione delle emozioni", non ero stata abbastanza brava? Piansi, nel sentirmi così inconcludente e incompresa: io non ero malata, non avevo bisogno di quel tipo di aiuto. Il viaggio in macchina per raggiungere il nuovo studio fu glaciale, un silenzio di tomba aleggiava nell'abitacolo della vettura mentre mamma mi accompagnava.

Quel corridoio era così freddo, asettico, e quella porta bianca mi terrorizzava. Non so dire, adesso, se non fosse la persona giusta o ero io a non essere ancora pronta ma ogni volta che uscivo da quella dannata porta bianca, grandi lacrimoni mi sgorgavano lungo le guance. Dopo la quarta volta, durante il viaggio di ritorno, psicologicamente devastata, chiesi a mamma di fermarsi e piansi, piansi disperata e quasi urlai quando mi rivolsi a lei "ok, ho un problema, voglio risolverlo, ma non portarmi mai più da lei!".

Tramite conoscenze entrai in contatto con altri specialisti, facenti parte di uno stesso studio così da coordinare il lavoro ed essere più efficaci. Dover ricominciare dall'inizio, raccontare nuovamente la mia storia e fidarmi di nuovi estranei fu per me una sconfitta ma al contempo un nuovo inizio.

Era ottobre 2018. Mi venne sottoposta un nuova dieta da rispettare rigorosamente, questa volta senza compromessi. Le domande della psicologa divennero più specifiche e mi sentivo frastornata. Ogni settimana avevo appuntamento fisso con loro e divennero più o meno le uniche persone che frequentavo al di fuori del lavoro.

Uscivo raramente, dopo il turno lavorativo ero esausta. Quando riuscivo a trovare le forze per uscire, mi concedevo solo un pasto a settimana fuori casa (considerato "sgarro") ed era rigorosamente la pizza (perché inserita nella dieta e quindi mi faceva stare più tranquilla) sulla quale evitavo di mettere la mozzarella ed era condita solo con verdure.

Qualsiasi altro pasto non previsto mi causava ansia e lo evitavo. Eliminai l'alcol, perché erano calorie inutili, se andavamo al pub prendevo un caffè. Eliminai tutto quello che era superfluo, nessun dolce, nessun cibo troppo condito o fritto, niente aperitivi. Passai una notte in bianco per capire se il giorno dopo, dove era prevista una serata in un discopub, potevo o meno "meritarmi" un drink e ai modi in cui avrei potuto introdurlo eliminando altri alimenti.

Dopo settimane i risultati non arrivarono. Buttavo ancora il cibo, dato che avevo la "fortuna"di affrontare almeno uno spuntino e un pasto al lavoro. Una nuova figura si intromise nei miei appuntamenti settimanali: lo psichiatra. La mia salute era gravemente a rischio e dovevo essere monitorata a livello psichiatrico. Misi piede, così, in un rinomato centro di disturbi alimentari tempestato di cartelloni raffiguranti "slogan" di una malattia che ancora non accettavo di avere. Guardavo le altre ragazze, io non ero così magra, loro erano malate, io no.

Ripetei sempre le stesse cose, di nuovo. Le pupille di quell'uomo così strano si incollarono alle mie "se non cambia qualcosa in fretta, io ti ricovero. Se non riesci a nutrirti da sola, ci penso io. Sai come? Ti mando in clinica e ti attacco le flebo". Cosa feci? Mi girai da mamma e sorrisi. Figuriamoci se avevo bisogno di essere rinchiusa, io stavo bene.

La dietista introdusse un nuovo alimento alla mia dieta: il temutissimo fortimel compact. Una boccetta da 125ml contenente 300kcal. In pochi secondi, tramite una cannuccia, avrei dovuto ingerire, come se niente fosse, pressoché il quantitativo di un intero pasto.

Avevo nausea al solo pensiero, odiavo quella fottuta boccetta. Poi, divennero due (a sostituzione di entrambi gli spuntini). Ero furiosa, stanca, frustrata da tutte queste imposizioni.

Mi assicuravo di portarne sempre uno al lavoro, per poterlo gettare nel gabinetto. Nel frattempo mi ero completamente isolata. Molti amici mi avevano abbandonato ed altri, quelli che sono presenti tutt'ora, sono rimasti al mio fianco sostenendomi e implorandomi di provare a lottare per non perdermi, finchè non mi credettero più. Suppongo che era troppo il loro dolore nel vedere una persona cara ridursi in quel modo.

Io però, mi sentivo sola, incompresa, divorata da demoni più grandi di me, presenti ogni istante.

Mi rifugiai nella solitudine e nella stanchezza. I miei esami clinici peggiorarono ancora: slaminamento cardiaco, ormoni assenti, proteine carenti. Lo psichiatra trovò assurdo che continuassi a lavorare e spingeva l'ipotesi del ricovero totale. I miei furono indirizzati ad un gruppo di sostegno per "genitori con figli con disturbi alimentari e mio padre, allentò il suo scetticismo e capì. Allora gli occhi sofferenti divennero quattro.

Quanto pesavano i loro sguardi. Mi resi conto che stavo manipolando anche la loro vita, completamente dediti a me nella loro preoccupazione, non permettevo loro di vivere serenamente.

Dovevo sconfiggere quei mostri, ci dovevo provare quantomeno. In lacrime chiesi alla psicologa di credere in me, di concedermi un po' di fiducia e di farmi continuare a lavorare (l'unica cosa che mi distraeva).

Scontrandosi con l'opinione degli altri specialisti, accettò ma ad una condizione: nessun'altro sforzo oltre il lavoro era permesso. Non avevo le energie necessarie per fare altro: non si esce più, quando si torna a casa ci si mette sul divano, non si sta in piedi senza motivo, non si fanno faccende in casa... niente di niente.

Annuii.

Durante una delle sedute di questo periodo mi fu chiesto perché volessi continuare a vivere, perché non morire. Risposi che non potevo causare questo dolore ai miei genitori e a coloro che mi volevano bene. Solo in secondo luogo realizzai che la vita aveva ancora cose belle da offrirmi.

Mi impegnai seriamente, lasciai che mamma pesasse le cose per me, con nervosismo mi sedevo a tavola e quei piatti mi sembravano enormi, ma mi sforzavo boccone dopo boccone e terminavo la mia pozione. Volevo dimostrare la mia volontà, ci volevo provare davvero. Per questo motivo, iniziai a prender parte a sedute di gruppo con persone che condividevano la sfortunata sorte di questa sfinente malattia. Uno di questi incontri prevedeva una merenda assieme e per mettermi alla prova, decisi di portare il temuto fortimel compact. Sorso dopo sorso, lo bevvi tutto, in compagnia da quelle stesse persone che mi avevano fatto capire di non essere sola, che avevano i miei stessi pensieri, che erano impossessate dagli stessi demoni distruttori che abitavano in me.

I risultati arrivarono, la bilancia cominciava ad essere "amica" . Adesso, "amica" è un parolone, perché ovviamente quando il mio peso aumentava di qualche grammo, il timore che non si fermasse più, che iniziassi ad aumentare a dismisura mi causava ansia ed inquietudine.

Avevo tenacia però, e non volevo mollare.

Nella giornate particolarmente stressanti, capitava ancora di gettare automaticamente il cibo. Imparai che le emozioni veicolavano il mio atteggiamento alimentare.

Giugno 2019

Dopo un weekend in viaggio con i miei genitori tornai in studio, contenta di poter raccontare alla dietista che ero riuscita a "sperimentarmi", ad assaggiare nuovi alimenti (per me complessi) e mi ero concessa anche qualche dolcino.

Invece, la bilancia mi tradì: 47kg, il peso minimo mai raggiunto.

Lo sforzo del viaggio mi aveva causato la perdita di 2 kg. Il ricovero era alla porta, bussava insistente. Il mio BMI (di gravissimo sottopeso) non poteva più essere seguito al livello ambulatoriale, poiché la mia salute era in grave pericolo. Precedentemente, in alcune visite con la mia dietista, io avevo visitato quel "centro riabilitativo", era il peggior posto che avessi mai visto nella vita: una specie di "isola felcie" frequentata da matti. La orrenda sensazione di "calma apparente" di quel luogo ancora la porto con me. Disperata chiesi aiuto alla psicologa: mi fu concesso ancora pochissimo tempo. Ricordo ancora quando un giorno annunciai che la sera sarei andata al concerto di Ed Sheeran e, terrorizzate, le specialiste mi vietarono di andare "le tue condizioni fisiche non ti consentono di affrontare un concerto in una calda giornata estiva".

Passai l'intero pomeriggio in lacrime, poi decisi comunque di andare. Mi era già stato tolto tutto, non volevo rinunciare anche a questo. Avevo solo voglia, per una sera, di essere una ragazza normale che si divertiva con le sue amiche.

Avevo toccato di nuovo il fondo, era l'ora di rialzarsi. Ancora.

Dovevo dimostrare che ero in grado di farlo, non a me stessa, ma a chi mi voleva bene. Basta causare sofferenza, preoccupazione, dolore.

Ero pronta a combattere quei mostri a mani nude e ad abbatterli.

Razionalizzai l'intera situazione ed ebbi una idea: sono quel tipo di persona che basa la sua vita ad obiettivi.

Pertanto, dato che in una delle tante sedute con la psicologa, avevo detto che amavo viaggiare, le rivelai un desiderio nascosto nel cassetto: andare in Giappone.

Accordammo che il Giappone era un viaggio troppo difficoltoso per me in quel momento, ma che, se entro Ottobre avessi preso peso e acquistato forze, avrei potuto permettermi un viaggetto in una meta "più tranquilla". Presto fatto: presi ferie a lavoro in Ottobre, chiamai il mio amico (fidato compagno di viaggio) e gli proposi la pazzia di acquistare un biglietto per le Mauritius con partenza prevista il 16 ottobre. Ci trovammo a far click su "acquista biglietto" in pochissimo tempo, io con la clausola di rimborso, lui senza. (Solo dopo capii che quello fu il suo modo di spronarmi, di infondermi coraggio e lanciarmi una sfida per tornare a stare bene).

Lui si fidò di me ed io non potevo deluderlo per l'ennesima volta. Annunciai a tutte l'équipe di specialisti le mie intenzioni e loro, increduli, dopo un acceso colloquio, stabilirono che sarei potuta partire solo e soltanto se avessi raggiunto un determinato peso e se, le analisi cliniche a cui mi sarei dovuta sottoporre prima della partenza, fossero state buone.

Non volli sapere il peso stabilito, io avrei fatto il meglio e rigato dritto.

Le settimane passarono in fretta, la bilancia saliva ed io introducevo nuovi cibi alla mia alimentazione, più elaborati, più liberi ed anche qualche bicchiere di vino in compagnia.

I mostri? Erano ancora lì, la notte mi facevano visita, si impadronivano delle mie mani e da bastardi tentatori cercavano di farmi gettare il cibo.

Li contrastai con tutta me stessa.

Arrivammo all'ultima pesata prima della partenza e ai risultati delle analisi: era il 7 ottobre.

"Tu sai il peso che avevamo concordato?" mi chiese la psichiatra, mentre visionava i referti.

Con sguardo deciso e pieno di speranza le risposi "no... ci sono riuscita?" Sorrise "Non so come tu abbia fatto" e con titubanza continuò "ma si... puoi partire...però devi stare attenta..."

Mi elencò con una valanga di raccomandazioni che ascoltai poco. Il mio cuore si inondò di gioia e mi commossi.

Non avevo vinto la guerra, ma una grade battaglia si.

Il 16 ottobre salii su quell'aereo: il viaggio più bello di tutta la mia vita. Fu una rinascita, ogni singola cosa che accadde là l' accolsi come un dono, vivendola al 100%. Fissammo una escursione che la guida definì di "facile esecuzione", invece si rivelò un faticoso trekking che prevedeva la scalata di 7 cascate in mezzo al bosco. Ricordo ancora la spossatezza delle mie gambe e la fatica, credetti di non farcela. Il mio amico mi prese per mano a metà percorso sussurrandomi "ce la puoi fare, hai affrontato di peggio. Ora ci sono io qui con te e non sei sola". Quando arrivai alla sommità, mi sedetti sulla bocca di quell'ultima cascata, guardai in basso, respirai a fondo e una scia di lacrime solcarono il mio volto. Il momento è immortalato in una fotografia e per sempre nella mia memoria: ce l'avevo fatta, ero lì, tutto quello che avevo affrontato era racchiuso in quell'attimo che sapeva di libertà.

I mesi seguenti al mio ritorno furono più semplici, il mio peso iniziò a stabilizzarsi, senza sbalzi.

Il piatto che avevo di fronte, adesso, non era più un ammasso di calorie ma il nutrimento di cui avevo bisogno per tornare ad una vita normale.

A gennaio 2020 mi fu permesso di tornare a praticare attività fisica.

In uno degli incontri di questo periodo mi fu posta l'altra famosa domanda " ma chi è ...?"

Perché una volta allontanati i mostri e acquistando più serenità, uscii da quel guscio apatico che la malattia aveva costruito attorno a me e mi sentivo spaesata e smarrita. Non sapevo come comportarmi. Ancora ci sto lavorando, sto cercando di capire cosa mi piace fare, perché le cose che si possono fare quando si è in salute sono infinite.

Sarei bugiarda se dicessi che sono totalmente guarita dall'anoressia: sono ancora legata ad una bilancia pesa alimenti, ci sono ancora pietanze o metodi di cottura con cui fatico a simpatizzare e qualche ombra nella mia testa ancora fa capolino di tanto in tanto.

Ma ho imparato la grande lezione che la salute vale molto di più, che se voglio continuare a fare tutte le attività intraprese ho bisogno di forze, che è bello poter uscire con gli amici e soprattutto di non avere ansia o terrore di dove andremo a cena e cosa prevederà il menù, di godere di una sana conversazione e risate senza essere ossessionata dal cibo che ho davanti, che è bello poter cucinare e assaggiare ciò che ho preparato, fare colazione al bar, assaporare un cioccolatino senza sentirsi in colpa.

La vita è piena di colori e di sfumature e ho deciso di sperimentarli tutti e di lasciarmi alle spalle il nero delle tenebre.

Spero che questo racconto possa aiutare persone come me, perché so bene quanto ci si possa sentir soli cullati da pensieri insormontabili. Ma non siete soli.

Se ne siete usciti capirete, altrimenti, vorrei che sappiate che se ne esce ed anche a testa alta.

Vorrei ringraziare i miei genitori che mi sono sempre stati accanto e sostenuto. Mio fratello che mi ha dato le due scosse fondamentali, per poter cambiare il mio percorso indicandomi la via giusta. La meravigliosa équipe che ancora mi ha in cura, senza la quale probabilmente non avrei ottenuti i risultati sperati, ma soprattutto la mia psicologa che mi ha posto le due domande fatidiche, che mi ha sempre spronato, che ha sempre avuto fiducia in me e creduto nelle mie possibilità anche quando neanche io ci speravo più.

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